Alla 35° edizione del Festival MILANoLTRE la compagnia di danza contemporanea Hervè Koubi racconta di viaggi alla scoperta di noi stessi e dell’altro.
Un ponte tra Oriente e Occidente, disegnato da trame di corpi che nel denominatore comune della danza trovano il filo per tessere la loro tela. La tela di Penelope, si potrebbe dire, in attesa che Ulisse faccia ritorno a Itaca da un viaggio che in fondo è lo stesso compiuto da ogni individuo alla ricerca delle proprie radici. Hervé Koubi, coreografo francese di origine algerina, seleziona per la sua compagnia danzatori di strada provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo, ognuno caratterizzato da una forte personalità, presenza scenica, sorprendenti capacità acrobatiche. Insieme compongono un variegato gruppo di artisti che a tratti sembra lottare, condividere, confrontarsi, confortarsi e accogliersi.
Non a caso gli spettacoli presentati sul palco del Teatro Elfo Puccini di Milano parlano di migrazione, tema caro alla 35° edizione del MILANoLTRE Festival che desidera porre l’attenzione sulla condizione attuale di chi cerca un futuro migliore, scappando per terra e per mare da guerre e terrore.
“Les Nuits Barbares ou les premiers matins du monde”
Andato in scena il primo di ottobre, riporta alla luce la raffinatezza della cultura barbara, in parte celata ai contemporanei da una storia raccontata da un punto di vista univoco, quello di chi nello straniero ha voluto vedere riflessa l’immagine del nemico di cui avere paura. Ciò che si teme si svilisce, spesso senza ragione, anteponendo le proprie qualità, e presunte virtù, alla conoscenza profonda dell’altro. Volti mascherati da preziosi giochi di luce filtrano il confine tra noi e la nostra percezione della diversità, armati di lame taglienti come armi d’attacco o da difesa. Le danze turbinose si aprono e si susseguono in un’eterna lotta per l’appacificazione di una cultura univoca, risultato della commistione di tutte quelle già contenute al suo interno.
“Ce que le jour doit à la nuit”
Unire e non separare, questo il messaggio ultimo dello sforzo coreografico della compagnia di Hervé Koubi anche nel lavoro “Ce que le jour doit à la nuit”, presentato la sera successiva con un’immagine di corpi intrecciati come naufraghi sulla zattera della Medusa. Questa volta a cercare la terra ferma è il corpo di danza nelle vesti del protagonista del romanzo di Yasmina Khadra (pseudonimo dello scrittore algerino Mohammed Moulessehoul, utilizzato durante la guerra civile del 1991-2002 per motivi di censura), da cui è tratto il titolo. La citazione accomuna la vicenda evocata, e non direttamente narrata, con quella realmente vissuta da Koubi, venuto a conoscenza delle proprie origini solo in età adulta.
Essere quel ponte tra popoli diversi muove il desiderio di abbracciarli entrambi, nel paradosso irrisolvibile di non sentirsi appartenere in toto a nessuno dei due. L’uomo è l’eterno migrante su una terra di cui può raccogliere i frutti materiali ma anche culturali, di cui è parte integrante e artefice, ma solo interagendo all’esterno col prossimo, e all’interno con tutti gli altri racchiusi in sè. Un conflitto capace di prendere i toni dell’incontro, della caduta e della risalita, della fiducia e della partecipazione. Una visione contemporanea delle contaminazioni di luoghi, stili di danza e tradizioni dalle molteplici possibiltà, che le tracce musicali scelte completano nella loro reinterpretazione. Il suono di un flauto, un nay (strumento della musica colta e dei riti sufi), risuona infine come simbolo della dimensione spirituale dell’esistenza stessa in cammino dalla materialità verso piani superiori, la cui sacralità si respira in tutta la sala. Il ritmo incalzante delle percussioni genera salti vertiginosi e giri vorticosi da dervisci a testa in giù, mentre le gonne bianche si aprono ondeggiando in quella indagine perpetua che è la vita.
“Boys don’t cry”
Completa infine il panorama sul quale si muove la compagnia, questa volta ponendo l’attenzione sui pregiudizi legati alla danza maschile. Non tutti i ragazzi amano il calcio, c’è chi invece vorrebbe fare di sé un danzatore, sfidando i pregiudizi della propria società, che sia araba o occidentale. Un appello alla contemporaneità, alla libertà e all’arte, che trova il suo testo cardine in quello della storica e scrittrice francese Chantal Thomas, presentato in prima assoluta nella sua versione in italiano a MILANoLTRE festival, il 4 ottobre.
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