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Intervista a Giuseppe Veneziano

Artista irriverente, ironico e spontaneo, Giuseppe Veneziano si è raccontato in una lunga intervista da me curata per il numero 27 di HESTETIKA.

In edicola, in libreria e su Apple Store.

HESTETICA N.27

 

“ARTE, QUESTIONE DI IRONIA”

A cura di Laura Luppi

 

Irriverente e discusso, Giuseppe Veneziano smuove gli umori di chi osserva le sue opere, le quali analizzano ed esorcizzano la società con senso critico ma mai volutamente provocatorio. Che se ne dica, l’arte nasce da una scintilla, e quella va seguita senza precludersi nulla, nemmeno le proteste di chi non l’approva.

 

Incontro l’artista Giuseppe Veneziano nel suo studio, in una calda giornata di sole, tra i rumori oltre la porta di una Milano chiassosa nel giorno di mercato settimanale. La prima cosa che mi colpisce, dopo i suoi lavori, è quel telefono fisso di Spider Man, a riprova della sua instancabile passione per i fumetti.

Ha inaugurato da poco la mostra ITALIAN NEWBROW: APOCALITTICA presso la LABS Gallery di Bologna. La collettiva, curata da Ivan Quaroni e di cui tu sei uno dei protagonisti, propone un gruppo di artisti che espongono insieme già da qualche anno. Ce ne parli?

ITALIAN NEWBROW è un progetto nato nel 2009 durante la Biennale di Praga per la Sezione Focus Italy curata da Ivan Quaroni. Non un movimento artistico, ITALIAN NEWBROW è piuttosto uno scenario, un gruppo che, per quanto disomogeneo stilisticamente, rappresenta una generazione di artisti. Al suo interno infatti confluiscono diverse anime, ognuna col suo percorso individuale, con la sua storia personale, con la sua strada da perseguire. Vanni Cuoghi, Silvia Argiolas, Giuliano Sale, Paolo De Biasi ed io siamo gli artisti “storici” coinvolti, a cui si è aggiunta Laurina Paperina.

Quali lavori hai portato?

Ho realizzato il ritratto di Salvador Dalí, col suo celebre sguardo pietrificante associato alla figura mitologica della Medusa. Un’altra opera richiama ancora Dalí, il suo Cristo di San Giovanni della Croce ma in relazione al manifesto del film Blow-Up di Antonioni.

Come ti viene lo spunto per far dialogare tra loro i personaggi della realtà e quelli della fantasia, dei film o dell’arte?

Quando sei appassionato di fumetti, di fatti di cronaca, di storia dell’arte, da questi campi ti arrivano gli input, per via dello studio che ne fai. Dipingo per passione, e dalle mie passioni traggo ispirazione.

Nei tuoi lavori questi mondi si fondono, con ironia, per aiutarci a vedere qualcosa che è già in atto, ma che non riusciamo ancora a comprendere. Davanti alle tante critiche ricevute, invece, cosa rispondi?

Io non faccio il provocatore di professione. L’ironia è un aspetto fondamentale della nostra esistenza, è un elemento che ci aiuta ad alleggerire il peso della nostra coscienza. Prendere la vita con ironia è una scelta intelligente anche per superare molte difficoltà. Così, quando mi viene in mente un’idea che ritengo importante, sento il bisogno di realizzarla, anche se a volte le conseguenze potrebbero offendere qualcuno. Nonostante ogni tanto mi ponga qualche dubbio, non posso autocensurarmi. L’arte ha anche come scopo l’indagine sociale e i temi sociali sono politici, religiosi, economici e sessuali. Io studio quelli. Quindi, per quanto risulti ironico, il mio lavoro è molto serio. Resta il fatto che l’unico ambito in cui nessuno ha mai da ridire è quello del sesso!

Il primo grande scalpore l’hai suscitato nel 2004, quando hai appeso il ritratto di Maurizio Cattelan con un cappio al collo su quella stessa quercia scelta dal famoso artista per l’installazione dei suoi bambini fantoccio impiccati.

A quei tempi non ero ancora un artista conosciuto. Stavo allestendo una mostra in un locale milanese curata da Andrea G. Pinketts, e mi sono trovato all’improvviso sulla copertina di Flash Art. I giornalisti non avevano il mio numero di telefono, non sapevano come rintracciarmi. Mi hanno aspettato tutta la sera fuori dal locale, Le Trottoir, con la speranza di intervistarmi. Ritenni subito molto importante quello che mi era successo per gli inizi della mia carriera.

Da quel momento è cambiata la tua vita?

No. Da quel momento non è cambiato proprio nulla.

E qual è stato allora l’episodio che ha rappresentato la svolta per la tua carriera?

Dopo due anni, nel 2006, feci la prima vera personale, “American Beauty”, presso la storica galleria di Milano di Luciano Inga Pin. Fu lui a capire il mio animo artistico; un gallerista fuori dal comune, che amava accompagnare e spiegare ad ogni visitatore le opere in mostra. Un giorno mi invitò a mostrargli i miei lavori. Fu lui a chiedermelo, io ero troppo timido, non lo avrei mai fatto spontaneamente.

Una timidezza che pare contrastare col sapore irriverente delle tue opere.

Ho preso coscienza di questo mio limite, cercando di superarlo negli anni. In parte è una continua lotta, anche se nel tempo ho acquisito maggiore sicurezza. Ma all’inizio, credimi, ero timidissimo, mi vergognavo. Percepivo il sistema dell’arte come irraggiungibile. Per questo l’invito di Luciano Inga Pin fu speciale. Gli lasciai un portfolio di miei lavori da visionare, e dopo due giorni mi richiamò per vederli dal vivo. In seguito facemmo quella famosa mostra in cui presentai, tra gli altri, il ritratto della Fallaci decapitata, dal titolo “Occidente, Occidente”.

E anche in quel caso ci furono grandi proteste.

Il mio intento era quello di riflettere sul clima di terrore dopo l’attentato dell’11 settembre, e le stragi di Madrid e Londra. Ricevemmo delle minacce, delle lettere anonime. Oriana Fallaci stessa infierì pubblicando articoli e chiedendo ai giudici di processarmi. Intervennero i media, la polizia, i giornali internazionali, i politici e perfino Dario Fo mi accusò di aver esagerato. L’unico a difendermi fu Oliviero Toscani.

Come ti sei sentito?

A dire il vero ho avuto un po’ paura, ma non mi sono fatto intimorire. Sono state dette molte bugie a riguardo, un po’ come accadde per l’opera “La Madonna del Terzo Reich”: censurata nel 2009 alla Fiera di Verona e poi criticata a Pietrasanta l’anno dopo, durante la mia antologica “Zeitgest”.  Si schierarono contro di me alcune comunità locali – religiose e politiche -, ma alla fine la mostra non fu chiusa. Anzi, molti dei poliziotti mandati a fare un sopralluogo proprio per chiudere la mostra, mi chiesero un catalogo e persino la dedica!

E così l’hai scampata ancora tu.

Noi siamo convinti di essere liberi, ma il confine esiste, com’è successo a Pietrasanta – il Comune aveva comunque ritirato il patrocinio -, o quando mi hanno annullato un premio prima della consegna solo perché non gradito da uno degli sponsor legati alla Chiesa. I miei quadri infastidiscono, ma spesso non fanno che anticipare fatti che poi accadono davvero, come per l’opera “Novecento” sullo scandalo dei festini a Villa Arcore. Ci provano sempre ad attaccarmi, non si arrendono mai!

Ma tu vai avanti lo stesso. E dopo la collettiva alla LABS Gallery, dove vedremo ancora le tue opere?

Dal 19 ottobre sarò a Monaco di Baviera presso la Kronsbein Gallery, con una mostra personale. Ci saranno molti nuovi dipinti, disegni, acquerelli e sculture.

 

https://www.giuseppeveneziano.com/