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8. Il Monte Rosa

“Quando il cielo è limpido si può scorgere anche il Monte Rosa”.

Non mi ero accorta della sua presenza. Il dottore tuonò alle mie spalle senza che io me ne accorgessi. Quando ero arrivata, la stanza era vuota. Nell’attesa mi ero avvicinata alla finestra. Guardavo fuori i camini delle case soffiare fumo, lo stesso fumo che usciva a intermittenza dagli scarichi delle automobili ferme nel traffico. Per le strade le persone mi sembravano tutte uguali, metodiche formiche ignare di essere spiate da un occhio solo poco distante da loro. Eppure mi sentivo così lontana. Oltre i tetti delle case il cielo era azzurro, coperto solamente da una sottile foschia, densa quanto bastava per nascondere le montagne dietro di lei.

“Tornerà tra poco”, pareva mi avesse letto nel pensiero, e se ne andò.

Restai in attesa ancora un po’, ma non so dire esattamente quanto. Decisi di togliermi il cappotto che distrattamente ancora indossavo. Il gancio era posto sotto al crocifisso appeso su un muro altrettanto azzurro, o grigio chiaro non ricordo. Mi misi a sedere. Il silenzio era assordante. Ogni tanto sentivo vibrare sul pavimento le ruote di qualche carrello, che d’eco rimandavano il suono grave del loro passaggio; qualche voce nel corridoio, bassa per non disturbare il lento trascorrere del tempo scandito dalle gocce delle flebo agganciate a testa in giù. Finalmente si aprì la porta, con la luce di quel suo sorriso caldo. Avrei voluto dirle subito un milione di cose inutili, fare finta di niente, distrarla con discorsi futili, prendermi cura dei suoi pensieri. Ma fu lei ad anticiparmi, come sempre, e a preoccuparsi per me, ancora una volta:

“Mi spiace averti fatto aspettare”.

testo e disegno di Laura Luppi