Tiziano Martini

Testo critico sull’artista Tiziano Martini

Testo critico sull’artista Tiziano Martini, pubblicato sul periodico d’Arte Contemporanea Segno (Pescara), n. 225, pp. 78-79.

 

TIZIANO MARTINI

di Laura Luppi

Le tele di Tiziano Martini instaurano un inscindibile legame tra precarietà e ricerca di un ordine mai definito, mai concretamente raggiungibile, perchè sempre labile e in permanente perturbazione. Se gli sfondi impalpabili, gocciolanti ed evanescenti, liberano gli schemi dagli stretti dogmi della logica, anche le fatiscenti strutture, sorte per restituire stabilità e sistematicità al sostrato immateriale, sono intenzionalmente inserite per non raggiungere pienamente il loro scopo ultimo. Le fondamenta degli edifici raffigurati, che spesso faticano ad essere rintracciabili tra le nette linee ortogonali e gli angoli acuti di travi e assi addossati tra loro, vacillano sospese su terreni inconsistenti, dove la materia cessa di essere concepita come base solida sulla quale erigere le certezze dell’uomo. Costantemente minacciati da un crollo improvviso, questi complessi grovigli di fabbricati hanno origine da scatti fotografici a cui l’artista si è ispirato e a cui ha ridato nuovo respiro attraverso una sapiente destrutturazione che nega il riconoscimento immediato dei loro connotati. Questo «immaterialismo» richiama per certi versi la dottrina filosofica che nega la realtà della materia e che riduce l’esistenza dei corpi al loro essere percepiti (esse est percipi). Come annunciava Berkeley, le percezioni sono nel soggetto che le percepisce, non fuor di lui in un substrato materiale, e sono sempre accompagnate da un’impressione emozionale, come il piacere o il dolore, di cui lo spirito è fulcro fenomenico. Attenendoci all’esperienza immediata resta evidente come l’uomo non sia in possesso che delle sue stesse percezioni, interne ed esterne, e delle idee che nascono dalle loro combinazioni, ma che non sanciscono mai il diritto di affermare conoscenze certe sugli oggetti. Il dualismo tra realismo e astrattismo, che non rinuncia a squarci informali, si assapora negli oli e negli acrilici di Tiziano Martino che in parte denunciano l’assurdità della credenza universale in un mondo esterno che ci verrebbe dato solo nell’esperienza e di cui l’uomo sarebbe esclusivamente percettore passivo. Propriamente di paesaggi, dunque, non è opportuno parlare, perchè mai è esplicito il riferimento ad un luogo concreto di raffigurazione, ad uno spazio definito e ben riconoscibile dall’esperienza umana. Di fronte ai lavori di Martini l’osservatore è invitato a prendere parte a un gioco di occultamento e svelamento delle reali fattezze dell’immagine (se di realtà è lecito parlare), che non prevede un risultato univoco, ma produce innegabili sensazioni contraddittorie: di calma e sospensione acuite dagli ampi vuoti riempiti a piccole dosi da strutture minimaliste ubicate sui lati della scena, oppure di ansia e agitazione derivate dal prevaricare dei pieni di edifici accatastati nel loro provvisorio equilibrio, decontestualizzati dalla loro originaria ambientazione. In altri lavori dello stesso ciclo sono lunghi rami di alberi intrecciati tra loro a far trasparire il liquido sfondo di base, con cenni di nidi e volatili inseriti con eleganza per trovare una risposta alle stesse esigenze strutturali, alla ricerca di una solidità a cui tendere nell’impossibilità di tangere. Gli artisti a lui più affini restano quelli della Nuova Scuola di Lipsia e della Nuova Trasfigurazione, eppure Tiziano vi si distingue con efficacia affermandosi nel mondo del Contemporaneo per la sua originalità timbrica che, accompagnata da un’ottima tecnica accademica, si impone grazie ad una gestualità dai tratti molto personali. Se gli acrilici tendono per loro natura a scivolare fluidi sulla tela donando effetti di trasparenza e opacità, gli oli ottengono uno spessore più concreto e corporeo, paradossalmente palpabile dall’occhio umano. I lavori dal piccolo formato, poi, paiono schizzi improvvisi, frutti di attimi di creazioni spontanee in cui l’immediatezza del gesto ha il sopravvento sulla razionalità dell’elaborazione formale. Realizzate di getto, queste opere focalizzano l’attenzione dell’artista sui particolari dei lavori dai più grandi formati, senza restituire una copia fedele, ma sfumando sia i contorni che i contenuti dell’originale. Come un obiettivo di una macchina fotografica che non ha messo bene a fuoco il soggetto del suo scatto, il risultato finale di queste piccole tele appare unico e inimitabile nella sua estemporaneità. Una riuscita complementarietà di progettazione razionale e istintività gestuale caratterizza dunque la personalità artistica di Tiziano Martini, che predilige ancora la pittura come mezzo espressivo per dare voce ad un estro in continua evoluzione. Gli ultimi lavori, privi di titolo perchè non pienamente carpibili sono i contenuti, assumono inaspettatamente il ruolo di specchi infallibili per ri-flettere la precarietà e l’instabilità di ciò che superficialmente avvertiamo come solido, reale e concreto, trascurando il più imminente dei pericoli attuali: la transitorietà dell’essere e della sua identità.