Deborah Ligorio, Quaderna H, 2007, c-print, 45x60 cm, courtesy Galleria Francesca Minini, Milano

Testo critico sull’artista Deborah Ligorio

Testo critico sull’artista Deborah Ligorio, pubblicato sulla rivista d’arte Juliet (Trieste), n. 144, pp. 54-55.

 

DEBORAH LIGORIO

di Laura Luppi

Deborah Ligorio apre il suo universo artistico all’analisi dei comportamenti sociali che prendono forma in relazione agli ambienti naturali strumentalizzati dalle esigenze abitative dell’uomo. Un approccio cronistico-narrativo verso realtà che, modificando l’equilibrio originario di un luogo selvatico, istituiscono uno spazio urbano spesso incurante dei pericoli che minacciano un insediamento aggressivo, funge da monito a una presa di coscienza delle possibili soluzioni compatibili con l’ecosistema terrestre. Questa ricerca geologica ed ecologica, sociologica e filosofica, trova la sua prima applicazione nel lavoro Donut to spiral del 2004. Il video è la raffigurazione di un viaggio che prende le mosse dalle immense distese desertiche prossime alla città di Los Angeles, note scenografie dell’industria cinematografica hollywoodiana, per approdare a uno dei più importanti interventi di Land Art di Robert Smithson, Spiral Jetty (1970), il grande molo a forma di spirale realizzato nelle acque del Great Salt Lake, nello stato americano dello Utah. A seguito di questa esperienza, Deborah Ligorio sente la necessità di direzionare la propria attenzione verso luoghi a lei più familiari con lo sguardo disincantato di chi ha vissuto per molti anni lontano da essi. Nascono così i lavori sulle architetture bioclimatiche tradizionali dell’Italia del sud, dai dammusi di Pantelleria ai trulli della campagna pugliese, tutte strutture che adottano la tecnica del condizionamento passivo, dando una risposta concreta alla richiesta di sostenibilità ed economia energetica. L’acuta riflessione sui cambiamenti climatici determinati dai comportamenti irresponsabili dell’uomo, sull’atarassia che imperturbata nutre una superficialità sorda di fronte agli allarmismi di tecnici e addetti ai lavori, ha condotto Deborah Ligorio alla progettazione e realizzazione della mostra Vulcano, svoltasi nel 2007 presso la Galleria Francesca Minini di Milano. Protagonista indiscusso della personale è il Vesuvio con i suoi impavidi abitanti, assopiti in una quotidianità che li tiene ostaggi della propria incoscienza. Le riprese del video Il Sonno, che ha ricevuto il Premio Giovane Arte alla XV edizione della Quadriennale di Roma, conducono lo spettatore in un volo aereo che ha come punto di partenza il paesaggio urbano ai piedi del vulcano e come meta ultima le sue cime impetuose. Il titolo richiama alla mente sia la condizione di apparente riposo del Vesuvio, la cui prima eruzione risale al 79 d.C., sia lo stato emotivo del tutto apatico di chi si rifiuta di abbandonare le zone ad esso limitrofe. Le immagini sono incalzate da un sonoro che si articola in frammenti di trasmissioni radiofoniche, interferenze, musiche e commenti di una voce narrante che incita alla fuga da una tragedia imminente, la stessa che ha fatto di Pompei testimonianza e presagio dell’indomabile forza della natura e dell’incombente impotenza dell’uomo davanti ad essa: “evacuate – evacuate – evacuate please leave the area now. Evacuating from a risky territory”.

Ambientati negli anni ’40 (l’ultima eruzione risale proprio al 1944) sono gli scatti fotografici sovrapposti a pattern geometrici di Inconsapevole leggerezza, quaderna a, b, c …, in cui alcuni personaggi in festa entrano nell’anonimato grazie a coloratissimi fotomontaggi che ne velano il volto, favorendo la percezione di un clima di leggerezza e svago che al brivido del terrore contrappone quello di una danza sfrenata. Non solo, ma in questa variopinta omologazione di costumi e tradizioni, c’è anche chi non esita a trarre vantaggio dai propri mali, ricorrendo allo stratagemma del fazzoletto per sollevare i fumi del cratere e attirare così lo stupore di turisti stranieri, sapiente citazione del celebre film di Rossellini Viaggio in Italia. Il sereno prima e dopo la tempesta.

L’astrazione del reticolato urbano, la mappa concettuale dell’ubicazione dell’uomo sul panorama terrestre, trova invece compimento nelle griglie che configurano lo spazio rappresentativo inserendosi in perfetta armonia coi ritagli sagomati, a volte circolari e a volte poligonali, di fotografie che ne richiamano la forma.

Completano il progetto artistico due slideshow proiettati sui muri della galleria da parte di apparecchiature nascoste e camuffate da scatole di cartone. Il primo, La scomparsa dello spettacolo, mostra una cartolina del Vesuvio che impallidisce alla luce del sole, mentre il secondo, Détournament, propone figure geometriche in associazione tra loro. Queste ultime rimandano inequivocabilmente alla forma conica del vulcano e a quella circolare del cratere, in un’inaspettata analogia etica ed estetica al buco dell’ozono, di cui peraltro si fa cenno all’inizio del video Il Sonno.

Con l’ausilio di tecniche artistiche differenti, dal video alla fotografia, Deborah Ligorio denuncia dunque la necessità di una rapporto di sinergia tra le forze del macrocosmo (l’universo e le sue leggi incorruttibili) e quelle del microcosmo (l’individuo con le sue responsabilità), affinché la condizione dell’esistenza nella sua globalità non possa essere messa a rischio da un’inefficiente risposta dell’uomo alle impellenti problematiche ambientali.