san marino 09 084

Schede critiche per la mostra Plenitudini di San Marino

Schede critiche per gli artisti Dacia Manto, Dany Vescovi, Fulvio Di Piazza, Giacomo Costa, Laura Pugno, Marco Citron, Olivo Barbieri, Pierluigi Pusole, Sabrina Giacomoni, Walter Gasperoni, Giovanni Frangi e Ubaldo Bartolini, pubblicate sul catalogo della mostra Plenitudini c/o i musei civici di San Marino, a cura di Alberto Zanchetta.

DACIA MANTO

Il video, l’installazione e il disegno sono i media preposti all’imbastitura dei paesaggi – più artificiosi che artificiali – di Dacia Manto: copie materiali di intime considerazioni sull’ambiente naturale in perpetuo mutamento. Le strumentazioni adottate dall’artista danno forma ad uno scenario fantastico, in cui ogni regola della realtà viene sovvertita per dare spazio ad una riflessione individuale circa gli effetti dell’azione umana sul contesto geologico. Così anche il più banale oggetto, apparentemente incongruente al sostrato che l’accoglie, recupera la giusta collocazione in un lavoro che spinge lo spettatore verso orizzonti paralleli a quelli comunemente avvertiti ed esperiti nella quotidianità. Una sottile sensazione di impermanenza (a cui tragicamente sono destinati tutti gli esseri viventi) lega le singole parti della composizione, giungendo a compimento nelle stratificazioni di grafite che degradano in tonalità di grigi polverosi. Le trame si intrecciano, si sciolgono e si addensano in un groviglio di segni, traccia tangibile della complessità del tessuto organico. L’impossibilità di seguire un percorso uniforme consente altresì l’allestimento di una spazialità mai identica a sé stessa, sperimentando all’infinito le sue eventuali estensioni. [Laura Luppi]

DANY VESCOVI

La natura morta, immagine allegorica della caducità della vita, assume rinnovato vigore nelle opere di Dany Vescovi, distaccandosi dalle intenzioni accademiche che conducevano alla scelta di questo particolare soggetto. Immortalati da uno scatto fotografico, i fiori vengono reinterpretati attraverso le recenti tecnologie digitali per poi essere trasferiti sulla tela con una tecnica pittorica pura, sottoponendosi a inaspettati effetti luminosi e interpolazioni geometriche del tutto estranee alla loro concreta morfologia. Non importa che sia un’orchidea, un tulipano o un giglio, ciò che conta è l’impatto scenico ed emotivo che la predilezione di colori fluorescenti, dai toni cangianti, suscita nel fruitore. Come filtrate dallo schermo di un computer, le piante prescelte subiscono le interferenze di bande verticali che (alla ricerca di una frequenza video indisturbata) ritagliano le forme, facendole slittare lungo l’area della raffigurazione. La dimensione virtuale assorbe l’effettività sensibile, il mondo reale percepito senza filtri dall’occhio umano, stabilendo una relazione dinamica che dà spazio alla riqualificazione formale delle più piccole strutture del regno vegetale, discernibili nelle loro peculiari varietà. [Laura Luppi]

FULVIO DI PIAZZA

L’attitudine surrealista di Fulvio Di Piazza accompagna lo spettatore in uno scenario incantato, in cui la persuasione onirica si fa impellente. Come guidato da un impulso all’evasione (verso pianeti alternativi), l’artista arricchisce la sua pittura attingendo alle suggestioni di film di fantascienza e racconti di luoghi mitologici, perduti o semplicemente immaginari. In un’isola che non c’è, una florida foresta può convivere con orizzonti desertici, dalle cui pietre fioriscono piante grasse dai colori vivaci e dalle forme bizzarre; dal terreno sorgono altresì massicci arbusti dalle sgargianti striature e dalla peluria setosa, comodi letti per nidi di uova, principio e speranza di nascite future. In un macroscopico paradiso terrestre, il dettaglio richiede una consona attenzione da parte di chi negli oli dell’artista si sente catturato dallo stesso magnetismo che ha spinto Alice nel Paese delle Meraviglie. In uno stupefacente gioco di luci e ombre che si infrangono tra le foglie o sulle acque di limpidi ruscelli, la sensazione di vitale movimento prodotto dai suoi misteriosi abitanti regala allo spettatore l’intuizione di suoni e rumori di un bosco transgenico, in cui è piacevole approdare ma da cui è davvero un peccato fare ritorno. [Laura Luppi]

GIACOMO COSTA

Visioni apocalittiche di un mondo ormai privo di tracce umane vengono trasposte dall’artista in silenziosi scenari post-atomici, in cui una fitta vegetazione riconquista il trono a suo tempo usurpato dall’insediamento urbano. Il prevalere di tonalità cupe lascia spazio a qualche squarcio di verde intenso, che annuncia l’imminente proliferare di nuova vita tra gli intrecci di aridi arbusti su terreni ormai sterili. Con l’ausilio di sofisticate tecnologie digitali e di innovativi programmi 3D, Giacomo Costa compone scenografie solo apparentemente surreali, rievocando il fascino mistico che le testimonianze architettoniche delle antiche civiltà azteche, maya e khmer suscitano nell’immaginario contemporaneo. Se le zone archeologiche attualmente più note sono quelle di Città del Messico, Chichén Itzá e Angor, in un futuro non troppo lontano l’intero sostrato terrestre potrebbe divenire un immenso palcoscenico per le rovine della società umana. A seguito del disastroso presagio, non potranno essere contemplati né piramidi, né templi religiosi, ma solo edifici di metropoli dismesse, sommerse oppure sospese, che hanno smarrito la propria identità e, con essa, il loro artefice/abitante. [Laura Luppi]

LAURA PUGNO

I dipinti su carta e tela di Laura Pugno prendono vita da un’attenta riflessione sugli stravolgimenti ambientali che l’essere umano impone alla terra esclusivamente per interessi economici, cui sono imputabili insanabili cambiamenti climatici e raccapriccianti conflitti di sangue e di potere, causa ed effetto di mercati clandestini. Il grembo materno viene violentemente depredato dei suoi frutti più pregiati, come nelle intense attività di scavo e setacciatura di sedimenti fluviali nei pressi di camini vulcanici, da cui poter rinvenire preziosi diamanti. Le immense voragini sono catturate dall’artista con un’immaginaria prospettiva aerea, accesso privilegiato per i giacimenti di cristalli che vengono estratti e portati in superficie. Fluttuanti tessiture di pennarello, scalfite da tocchi di acrilico e da inserti di collage, definiscono la fisionomia di rocce a forma di imbuto poste al centro di grandi laghi, avvolti in concentriche geometrie. Il tratto sciolto, unito a una pittura rarefatta, conferisce una piatta bidimensionalità al panorama circostante, in aperto contrasto con la buia profondità della spirale conica. La materia dissestata e stilizzata viene arricchita dal contrasto cromatico, ora tenue, ora intenso, con interventi che insistono sulla falsificazione di un luogo già alterato dall’invasivo operare dell’uomo. [Laura Luppi]

MARCO CITRON

Nelle mani di Marco Citron il mezzo fotografico diviene strumento narrativo di luoghi di lavoro passati in disuso e abbandonati in zone periferiche delle città. Il percorso dell’artista sperimenta dapprima risultati immaginari, in cui la deformazione di prospettive e simmetrie tradizionali oltrepassa la consueta percezione di imponenti fabbriche, ridotte a giganteschi monumenti di epoche trascorse. Siti che un tempo brulicavano di presenze umane, centri nevralgici del boom economico, rinunciano alla loro originaria finalità d’utilizzo per mettere in risalto le proprie vestigia di fantastici teatri dalle fredde cromie avveniristiche. La proporzione dell’immagine recupera la sua veridicità nelle ambientazioni nebulose di imponenti dighe abbandonate, muraglie di cemento inserite tra le impervie rocce di umidi paesaggi montuosi. Lo sbarramento artificiale di un fiume, a cui viene precluso il regolare defluire delle acque, è segno di una egoistica alterazione degli equilibri ambientali. Il torpore che aleggia tra le tubature arrugginite e i cunicoli lasciati incustoditi fa da cassa di risonanza ai rischi cui si va incontro con la realizzazione di simili ecomostri, traducendosi spesso e volentieri in disastri irreparabili, come nel caso del Vajont nel 1963. [Laura Luppi]

OLIVO BARBIERI

Di fronte ai lavori di Olivo Barbieri lo spettatore si sente esortato a cambiare punto di vista e a considerare la normalità come del tutto relativa. Le vedute aeree delle più note località mondiali, dagli Stati Uniti d’America all’Europa, dalla Cina alla Giordania, tramutano infatti la quotidiana esperienza della città in una visione artificiale, dai forti connotati concettuali. Gli scatti fotografici, ottenuti grazie alla tecnica della messa a fuoco selettiva, che permette di scorgere in maniera nitida solo alcuni particolari dell’immagine, fanno del mondo un’enorme “installazione temporanea” nelle vesti di un minuzioso modellino plastico. Il cannocchiale comunemente utilizzato per scrutare il cielo alla ricerca di pianeti lontani o di altre forme di vita, inverte i suoi poli puntando l’obiettivo verso la crosta terrestre e facendo dei suoi abitanti minuscoli punti colorati, che ricordano gli effetti visivi prodotti dai piccoli vetri riflessi sulle pareti di un caleidoscopio in rotazione. Cimentandosi anche col video, Olivo Barbieri ironizza sul senso di identità di ogni specifica comunità, le cui certezze trovano fondamento in tradizioni e considerazioni radicate nel territorio sul quale si esprime, dimenticando la sua primaria appartenenza al genere umano e all’universo che lo ha ospitato. [Laura Luppi]

PIERLUIGI PUSOLE

Per indagare le origini della vita nella maniera più scientifica possibile – dalle sue caratteristiche atomistiche fino alle più evidenti espressioni macroscopiche – Pierluigi Pusole adotta lo strumento della pittura adeguandolo alla sua timbrica personale. Gli acrilici su tela, concepiti in cicli tematici, attestano le differenze e gli scarti che sussistono tra una creazione naturale e l’altra, facendo dell’universo l’insieme delle infinite sfaccettature da scrutare e catalogare in vista di una loro definitiva comprensione. La velocità del gesto che si staglia sul supporto (tavolo da laboratorio che è anche centro nevralgico delle sperimentazioni artistiche) propone selve evanescenti ed acquitrinose, in cui l’elemento antropomorfo si inserisce con cura e rispetto. La figura umana, dunque, viene percepita come equidistante sia dal contesto scenografico in cui compare, sia dalle sue reali sembianze, ricoprendo il ruolo di osservatore interno al campo di analisi prescelto, rischiando di condizionare il risultato finale in modo irreversibile. L’intento non imitativo, ma produttivo, di un universo che contiene in sé le regolarità e le eccezioni delle sue leggi immutabili, si racconta tra i folti abeti che replicandosi ricusano alcune anomalie apparentemente impercettibili, ma dallo spettacolare impatto visivo. [Laura Luppi]

SABRINA GIACOMONI

La produzione fotografica di Sabrina Giacomoni spazia dallo scatto di un particolare dettaglio a campi visivi di più ampio respiro, come costruzioni architettoniche, cantieri e ambienti “marchiati” dall’intervento umano. In particolare, negli ultimi lavori la ricerca dell’artista si indirizza verso un processo analitico e autoriflessivo sugli abusi a cui sono costantemente sottoposte le località di villeggiatura, dapprima sfruttate e poi volgarmente ripudiate dalla collettività. Senza mai rinunciare al fattore estetico interposto agli scopi concettuali, l’obiettivo si sofferma sul silenzio che regna dopo una barbarica invasione turistica, un saccheggio di massa documentato mediante gli indizi lasciati lungo il tragitto. È questo il caso di un antico lampione sul lungomare, fonte di luce per una promenade in notturna, che giace a terra, ridotto in pezzi; una serie di sdraio, sulle quali era piacevole accomodarsi sotto un caldo sole d’estate o all’ombra di un ombrellone ormai fatiscente, diventano invece delle cataste di legna, con le assi intrappolate le une nelle altre; infine, alcune sedie abbandonate sulla battigia, dalla cui vernice si evince l’usura del tempo, paiono moderni simulacri della presenza dell’uomo – trapassata ad incresciosa assenza. [Laura Luppi]

WALTER GASPERONI

Per assaporare il gusto innocente dei racconti di Walter Gasperoni bisogna farsi prendere per mano dall’artista e lasciarsi accompagnare nell’atmosfera incantata di un volo sopra i tetti delle case, in mezzo ai personaggi delle fiabe della nostra infanzia, oltre i confini tra ideale e razionale. L’immediatezza comunicativa degli oli, dei pastelli e dei disegni, sta nella semplicità di un segno pittorico fresco, comparabile a quello genuino di un fanciullo, preservando sulla carta l’autonomia del linguaggio spontaneo tipico delle favole. Seguendo una poetica vicina a quella pascoliana, a sua volta influenzata dalle teorie dell’inconscio di Eduard von Hartmann, Gasperoni concentra le energie creative nell’intento di far trasalire quello stupore puerile che può ancora sopravvivere nelle persone adulte. Una volta affiorato, lo imprigiona sulla tela caricandolo di significati simbolici che allontanano la coerenza logica dall’ambito istintivo, sorgente misteriosa di paradossali verità e inspiegabili comportamenti. Per sognare ad occhi aperti è dunque necessario indirizzare lo sguardo verso il cielo, alla ricerca di una musa ispiratrice capace di gestire i ritmi del pianeta Terra e dell’estro umano come un abile direttore d’orchestra. [Laura Luppi]

GIOVANNI FRANGI

I lavori di grande e medio formato fanno da supporto materiale alle scelte tematiche intraprese da Giovanni Frangi sin dagli esordi della sua carriera: dapprima le periferie urbane, poi le visioni acquatiche, le foreste oscure, le atmosfere notturne e gli immensi cieli blu, per approdare oggi ad una stilizzazione delle forme che ha concesso all’artista di cimentarsi con molteplici tecniche, tra cui il disegno, l’incisione e la scultura. Negli ultimi quadri ad olio la sintesi del segno soddisfa al meglio le regole del riconoscimento di un oggetto, seppur piccolo o appena accennato, nell’intento di ridurre al limite la forma per carpire i tratti distintivi della sua apparenza percettibile. Lunghe pennellate nere, dense e veloci, intrecciano i gambi sottili di fiori dai petali deformi, privati dei loro consueti colori, ma non della loro sostanza vitale. Un’armonia latente soggiace alle gradazioni di grigi, in un andamento perentorio di setole che in certi punti graffiano la superficie bianca della tela, aggredita infine da un getto di pittura dalle tonalità glaciali. Tale spontaneità gestuale svuota la complessità di un fiore alla ricerca dell’essenzialità originaria racchiusa nella sua specie, rendendo l’immagine appena sfocata, irrequieta, nervosa. [Laura Luppi]

UBALDO BARTOLINI

Dopo essere stato tra i forieri del Nuovo Romanticismo, Ubaldo Bartolini ha seguitato a saggiare tematiche paesaggistiche attraverso il mezzo tradizionale della pittura, concedendo loro una forte intensità atmosferica. La malinconia celata dietro impervi sentieri scoscesi, tra le fitte alture di cipressi e pareti rocciose, che impediscono l’infiltrazione dei raggi solari, riabilita il senso romantico dell’inettitudine dell’uomo di fronte alla magnificenza della natura, la quale tutto crea e tutto distrugge. I personaggi appena accennati, persi lungo il sentiero della loro esistenza, si immergono nell’andatura vorticosa di pennellate morbide e corpose, in un delicato movimento che si accorda al silenzio dalla scena crepuscolare. Questi luoghi, espressioni simboliche dell’interiorità dell’artista, hanno il sapore delle visioni sacre di Alphonse Osbert e delle sue muse al levar del sole, come dei boschi sacri e delle anonime sacerdotesse di Arnold Böcklin. Il recupero di suggestioni ermetiche, tra luci soffuse e radenti, premia la realtà assegnando all’acqua, al terreno e agli alberi quel sottile equilibrio di accordi tonali tipico delle vedute di Corot, arricchite però dallo stesso impatto esoterico di Friedrich e dall’ideale (seppur irreale) compostezza delle opere di Lorrain e Dughet. [Laura Luppi]