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Francesco Simeti da Francesca Minini (Mi)

Viaggio in una natura selvaggia ma allo stesso tempo deturpata dall’aggressione dell’uomo. Recensione della mostra di Francesco Simeti presso gli spazi di Francesca Minini, per Arskey.

 

Francesco Simeti da Minini. Terre desolate in scene di disordine e confusione.

Di Laura Luppi

 

Presso lo spazio di Francesca Minini è in corso la seconda personale di Francesco Simeti, che per l’occasione propone il viaggio in una natura selvaggia ma allo stesso tempo deturpata dall’aggressione dell’uomo. La percezione di meraviglia di fronte a un apparente scenario incontaminato lascia presto il posto alla sensazione di inquietudine provocata dall’individuazione dei segni o simboli dell’incoscienza di un’umanità poco attenta alla preservazione dell’ecosistema, che contamina e deturpa durante il suo passaggio. Entrando nella prima sala lo spettatore si cimenta nel ruolo di attore su una sorta di palcoscenico allestito con pannelli di cartone sui quali sono duplicati alcuni collage di un irrealistico naturalismo. Le scenografie dirigono verso un percorso prestabilito da intraprendere alla luce di quelle tipiche lampade utilizzate per i lavori industriali, pendenti dal soffitto e regolate a differenti altezze. A rendere il tutto ancora più artefatto intervengono riproduzioni di piante e massi assemblati a terra, gli stessi notoriamente utilizzati per ricreare l’ambientazione natale degli animali impagliati ed esibiti nei musei botanici. Lungo il cammino ci si imbatte in foreste dalla fitta vegetazione da cui, grazie a uno sguardo più attento, affiorano detriti e rifiuti nocivi, scie di uno shuttle che marchia il cielo, o reti gettate in mare per contenere i danni di un disastro ambientale. “Wasteland” sintetizza la visione di una terra desolata, “wilderness” l’emozione provocata dalla visione stessa di tali “Scene di disordine e confusione”, titolo della video installazione a cui il sentiero conduce in ultimo. Nella seconda sala sono infatti presentate tre animazioni che documentano, secondo l’immaginazione di Simeti,  l’itinerario dei pellegrini del Medioevo e del Rinascimento per giungere a Roma. I dettagli di arbusti e rocce si mettono a fuoco man mano che ingrandendosi paiono avvicinarsi allo spettatore, il quale sembra a sua volta immergersi in un mondo dalle sembianze per lo più magiche. Il riferimento iconografico è quello ai “Tacuina sanitatis”, oltre alla pittura di Beato Angelico, Paolo Uccello o Domenico Veneziano. Se nel ‘700 Edmund Burke postula la contrapposizione tra bello e sublime, concedendo al secondo l’accezione di sentimento di terrore di fronte alla potenza indisciplinata e indisciplinabile della natura a cui si sono ispirati artisti come Turner e Friedrich, quella stessa emozione di “orrendo che affascina” respira nel lavoro di Francesco Simeti. La superficialità di un primo e veloce sguardo cela ma non lascia in silenzio quei dettagli dissonanti captati nell’inconscio. La rappresentazione di una natura idealizzata nella sua forma inviolata subisce dunque violenza dall’azione distruttiva dell’uomo il quale, prendendo atto della sua profanazione, subisce a sua volta la violazione stessa provocando in sé quel turbamento che acquista le vesti di in un’estetica del sublime assolutamente attuale.