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Memores@elfo. Intervista a Flavio Arensi per Hestetika

Intervista a Flavio Arensi, curatore di MEMORES@ELFO: Pietro Masturzo + Roberto Fanari – Spazio Atelier – Teatro Elfo Puccini _
Un progetto di Flavio Arensi (Meetmuseum) e Ferdinando Bruni.
Un consiglio: leggere l’articolo e andare a vedere la mostra!

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(immagine Elfo®_Lorenzo_Palmieri)

 

“Arte a teatro con Memores@elfo. Intervista al curatore Flavio Arensi.”

A cura di Laura Luppi

Dalla collaborazione tra MeetMuseum e il Teatro Elfo Puccini di Milano nasce art@elfo, un progetto che avvicina l’arte visiva a quella teatrale, in un dialogo sinergico tra opera, palcoscenico e pubblico.  Lo spettatore è infatti chiamato a prendere parte attiva a un’esperienza performativa che coinvolge eccezionalmente il sottopalco (Spazio Atelier) con l’allestimento di una mostra temporanea pensata in relazione allo spettacolo in scena. Dopo Yorick@elfo con Angelo Filomeno e Bertozzi&Casoni, è la volta di Memores@elfo con Pietro Masturzo e Roberto Fanari, rispettivamente  fotoreporter e scultore, i cui lavori accompagneranno dall’1 al 12 febbraio la lettura di “Afghanistan, il grande gioco”, la nuova produzione della Compagnia dell’Elfo. Abbiamo chiesto a Flavio Arensi, fondatore di MeetMuseum insieme a Francesco Mandressi e curatore della mostra con Ferdinando Bruni (in collaborazione con Studio d’Arte Cannaviello e Vicolo del Folletto Art Galleries), qualche informazione in più per comprendere e conoscere al meglio l’iniziativa e il suo modo di intendere l’arte

Flavio, quando è nata l’idea di accostare l’arte contemporanea al teatro, e in particolare al Teatro Elfo?

L’Elfo si dichiara come un “teatro d’arte contemporanea” e ha sempre dimostrato una sostanziale vicinanza agli artisti, tanto che negli anni sono state diverse le mostre negli spazi di servizio; ma ricordo, da studente-spettatore, nel 1998, una bellissima scenografia di Sergio Battarola per “La città e la morte” di Fassbinder, così come da una produzione di Elio de Capitani nacque la “Montagna di sale” di Mimmo Paladino, e aggiungo che Ferdinando (Bruni, n.d.r) è un pittore molto interessante, con una conoscenza raffinata dell’arte. Dunque quello che premeva non era portare degli artisti all’Elfo, non ci interessava chiamare quattro amici e chiedere di fare qualcosa che potrebbe stare bene qui come altrove, o decorare la parete libera di un corridoio. Volevamo inoltre che tutto fosse temporaneo, come appunto è uno spettaocolo teatrale, con una sua durata breve. Aggiungo che Meetmuseum nasce con l’obiettivo di valorizzare i luoghi di interesse culturale e ha cercato nella collaborazione con l’Elfo di entrare in punta di piedi in un luogo di per sé prestigioso, ben sapendo che si andava a lavorare con professionisti eccezionali – da cui imparare molto. La prima collaborazione fra noi è nata intorno a una videoguida per Gallerie d’Italia dove Bruni, Elena Russo Arman e Ida Marinelli raccontavano le opere in mostra, aiutate da una regia efficace e intelligente di Francesco Frongia . Questa primo passo ci ha fatto capire come il teatro possa essere un luogo ideale in cui raccontare l’arte. Poi un po’ per caso un po’ per gioco c’era l’esigenza di ripensare un logo del teatro e così abbiamo fatto ritrovare dei vecchi amici, ossia Paladino e l’Elfo, ed è nato il nuovo marchio del teatro e l’immagine della stagione. Da lì abbiamo pensato a come il rapporto fra arte e teatro sia mutato negli anni e in che modo poter trovare una modalità di collaborazione. Ecco art@elfo dove l’intento è chiedere al pubblico di vivere l’arte con la stessa dinamica soggettiva con cui osserva gli spettacoli teatrali, in un certo senso mettiamo in scena un momento creativo nel quale gli artisti sono una parte del progetto, insieme ai tecnici del teatro che con noi pensano alle luci, al suono, alle musiche, agli attori se necessario (presto ci sarà l’intervento anche di uno scrittore). Insomma si va in scena con una “pièce d’arte” dove le opere sono soggette alle regole teatrali, non vengono esposte o allestite, ma prendono parte a un sistema linguistico che le comprende. Non attacchiamo quadri alle pareti, mettiamo in scena un pensiero.

 

La mostra precedente, Yorick@elfo, era dedicata all’opera shakespeariana. Come i lavori di Angelo Filomeno e Bertozzi&Casoni hanno interagito con l’Otello e il suo pubblico?

Con questa prima mostra volevamo parlare sottovoce. Abbiamo aperto in sordina, lasciando che l’inaugurazione fosse più o meno dichiarata. Il pubblico dell’Otello è arrivato senza aspettarsi nulla, e si è trovato le porte del sottopalco – di norma chiuse – aperte; ha iniziato a guardarci dentro, senza ben capire se si stava allestendo uno spettacolo o cos’altro. Poi man mano capiva che si trattava di un quadro e di una ceramica, quest’ultima appoggiata sulle classiche casse per attrezzi teatrali, proprio per confondere. La luce scenografica accompagnava la vista al centro del quadro, cove c’era ricamato un teschio. Insomma avevamo creato un ambiente che parlava di Shakespeare, di uno dei simboli più noti, il teschio di Yorick con cui dialoga Amleto nel famoso “essere o non essere”, però senza nessuna enfasi da esposizione tradizionale; non volevamo creare le tipiche distanze che spesso separano le persone dall’arte, dall’idea di dover visitare una mostra: è stato invece normale vedere un pubblico abituato al teatro prendere possesso e vivesse lo spazio del sottopalco, scoprendo di partecipare a una esposizione.

Quella di Memores@elfo tratterà tematiche ancora attuali come la guerra in Medio Oriente e il suo difficile e controverso rapporto con l’Occidente, affrontate nelle cinque storie di “Afghanistan, il grande gioco”. Perché Masturzo e Fanari?

Pietro vinse il World Press Photo proprio con una immagine scattata in Medioriente. Lui è un narratore incredibile, non cade mai nel tragico o nel patetico, ti mette nella condizione di guardare le sue immagini senza esserne straziato, senza spettacolarizzare il dramma che vivono quei luoghi, e nel contempo ti fa riflettere, ti porta a prendere una posizione emotiva. Roberto è un bravo scultore, che ha meditato molto sul tema della presenza, del testimoniare l’esserci. A lui abbiamo chiesto di realizzare due sculture di donne e tre di bambini, mentre l’unica presenza di un maschio adulto è il soldato della fotografia che proiettiamo su fili mobili, che rendono l’immagine frammista. Abbiamo cercato di mettere da una parte chi non fa la guerra perché guardi chi la fa, e speriamo che fra queste figure di Fanari si sieda anche il pubblico. Non diamo nessuna indicazione o vogliamo dare risposte, ma accompagniamo l’installazione con una traccia audio creata da Luca de Marinis e con le luci studiate da Michele Ceglia. Il resto deve farlo il pubblico, spetta a lui prendere una posizione.

Ironizzando, Schopenauer affermava: “Non andare a teatro è come far toeletta senza uno specchio”. Si può alludere a qualcosa di simile anche in merito alle mostre d’arte contemporanea?

Il teatro è un luogo magico dove vai e accadono delle cose. Ho portato mia figlia di quattro anni a vedere “Alice Underground” proprio all’Elfo e lei pensava che i “mostri” sul palco fossero veri; quando le ho spiegato che alcuni dei personaggi erano Ida (Marinelli) o Elena (Russo Arman), che lei conosce, è rimasta stupita perché a quel punto la verità era ribaltata. Però, non le ho ancora detto che l’unicorno non è vero. Ma questo per sottolineare come il teatro sia un posto meraviglioso dove qualcuno ti prende per mano e ti fa pensare, ti fa ridere, ti fa commuovere, ti porta dentro la realtà mettendo in scena una finzione, ossia il contrario di quello che succede con internet e i social, dove pensi di vivere la tua quotidianità ma sei totalmente immerso in qualcosa di virtuale. Andare a una mostra è diverso, soprattutto con l’arte contemporanea, perché spesso il pubblico è tenuto distante, c’è qualcuno che cerca di essere oscuro, intangibile per sembrare intelligente: così molte mostre sono dei bluff che risultano spesso incomprensibili. Qui cerchiamo di usare alcuni aspetti del teatro, come il coinvolgimento sonoro e quello dato dalle luci, per togliere i filtri fra le opere e le persone, per rendere tutto più vivibile, per far fare una esperienza. Non credo sia necessario andare a teatro o visitare le mostre, penso semplicemente aiuti a capire meglio chi siamo, a darci degli spunti da portare nella vita quotidiana.

Infine, a teatro, in un museo come nella vita quotidiana “la bellezza salverà il mondo” da quest’epoca confusa e contraddittoria che tende ad alzare muri piuttosto che a costruire collegamenti e ponti?

Se c’è una cosa che l’arte visiva e il teatro insegnano è che i confini non esistono, ci sono le differenze e sono sempre una ricchezza: per questo lavoriamo bene con l’Elfo, perché portiamo due esperienze e le mettiamo in dialogo, trovando più punti in comune che distanze. Io ricordo quando da giovane critico andavo all’Elfo a vedere Bruni che recitava Testori, con la sua lingua incomprensibile, eppure restavo stregato dalla bravura di quell’attore e insieme dalla capacità che hanno i suoni di generare emozioni, anche quando fatti di parole indecifrabili. La traduzione corretta della frase di Dostoevski nasce da una domanda rivolta al principe: “il mondo sarà salvato dalla bellezza?”. Nella prassi la frase è stata ribaltata, ma nell’originale l’accento è sul mondo, non sulla bellezza, e lo trovo importante, perché riporta al centro della scena la realtà, ognuno di noi. Quando vidi per la prima volta Ida e Elena che recitavano ne “Le lacrime amare di Petra von Kant” mi innamorai della loro capacità di portarmi al cuore di quella vicenda umana ed esistenziale: per me è quella la bellezza di cui parli, cioè aprire una possibilità. Queste mostre sono una possibilità fra tante, ma almeno c’è questa possibilità.

TEATRO ELFO PUCCINI | SPAZIO ATELIER

MEMORES@ELFO

PIETRO MASTURZO + ROBERTO FANARI

un progetto di Flavio Arensi e Ferdinando Bruni

La mostra è poi visitabile fino al 12 febbraio in orario di apertura spettacoli (un’ora prima dell’inizio spettacoli).

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