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Intervista a Giovanni Manzoni Piazzalunga

Un’intervista tra sacro e profano, tra corpo idealizzato e corpo erotico, per sapere cosa ne pensa un artista che col disegno racconta l’eros e il divino.

Solo su HESTETIKA MAGAZINE, n. 24 (gennaio 2017)

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HESTETIKA N. 24

“DISEGNARE L’EROS”

INTERVISTA A GIOVANNI MANZONI PIAZZALUNGA

A cura di Laura Luppi

 

Milano, Porta Venezia. Questa volta arrivo puntuale. Ad aspettarmi nel suo grande studio di via Malpighi 8 c’è Giovanni Manzoni Piazzalunga, e Niko, il suo fidato amico a quattro zampe. In effetti è la seconda volta che vado a trovarlo, e questa è quella in cui parleremo delle sue opere, della sua visione della sessualità nell’arte e nella vita privata. Lui, giovane artista che si ispira ai grandi Maestri del Rinascimento italiano, interviene sui disegni a matita, grafite e carboncino con macchie di caffé che ne contraddistinguono lo stile e un timbro inconfondibile. Tra i soggetti preferiti un posto d’onore è riservato ai corpi nudi, in movimento o in pose plastiche, ma sempre nella loro bellezza idealizzata, sia essa divina ed eterica, oppure erotica e sensuale. Corpi che altrimenti sarebbero solo carne e materia greve, e che nelle complesse composizioni di Giovanni Manzoni Piazzalunga trovano invece l’armonia di una mistica danza.

Giovanni, raccontami quando è scattata la scintilla per l’arte, per il corpo nell’arte.

Sono cresciuto studiando l’arte italiana a scuola, come tutti del resto. Da adulto, però, mi sono stupito nel ritrovare alcune frasi scritte nei diari delle elementari, tra cui “Viva Michelangelo Buonarroti”. Non me lo ricordavo! Il merito credo sia della mia insegnante di allora oppure, forse, di quel bambino capace di incantarsi davanti ai corpi dipinti da un grande Maestro; un bambino che poteva avere ben altri interessi. Ho avuto però più volte il piacere di scoprire di non essere stato il solo! Ricordo ad esempio una bambina ad una mostra di Michelangelo. Avrà avuto circa sette anni. Se ne stava seduta per terra a copiare un disegno davanti a lei. Una scena bellissima per me, una vera speranza per il futuro!

Parlami del corpo, come si inserisce nel contesto artistico?

Personalmente sono rimasto affezionato a quell’idea di corpo “divino”. Quando parliamo di ‘400 o di ‘500 il corpo non è assolutamente quello “popolare”. Caravaggio, ad esempio, era stato accusato di non rappresentarlo più nella maniera in cui era concepito dai suoi contemporanei.

Questa ricerca della perfezione mi ha sempre accompagnato, perché ad essa solo l’arte è in grado di ambire, non la realtà. Può esistere un corpo bellissimo come quello di Roberto Bolle, ma per vederlo veramente dobbiamo guardarlo attraverso il dipinto di un Michelangelo di turno. Questa è per me la magia dell’arte, che risiede per assurdo nell’imperfezione dell’uomo. Una specie di teoria del caos: non riuscire a raggiungere la vetta prestabilita, sbagliare e con l’errore rendere ancora più bello il modello, il punto di partenza.

Una partenza che è opera della natura?

Proprio così. Mi viene in mente un film, “Racing Extinction”, in cui tra le varie specie estinte vengono mostrate quelle di alcune tartarughe attraverso la loro corazza. Un guscio in particolare sembrava una vera opera d’arte, una fitta rete di pennellate in stile espressionista che nessun artista sarebbe mai stato in grado di riprodurre nella sua autenticità. Alla fine non facciamo altro che una sorta di simulazione, il cui valore sarà sempre nettamente inferiore a quello della vita di qualsiasi essere, per piccolo che sia. Per tanto ho adorato il corpo, perché ho sempre pensato che il miglior modo per rispettarlo fosse appunto emularlo. Questo per quanto riguarda il mio rapporto col corpo singolo, femminile o maschile, nel momento in cui lo disegno.

E per quanto riguarda invece disegnare l’Eros attraverso il corpo, o il corpo attraverso l’Eros?

Entriamo in un altro settore, un’altra stanza del palazzo: la stanza proibita, rossa. Una stanza necessaria e stimolante perché in fondo siamo esseri umani, e come artisti ne prendiamo ispirazione. Tutti, compresi un romantico come Hayez, da sempre considerato l’artista de “Il Bacio”, dell’amore più pulito e idealizzato. Ho recentemente scoperto i suoi disegni erotici e ne sono rimasto quasi sconvolto. In realtà credo davvero sia sempre importante conoscere sia il lato sacro che quello profano di un artista.

A proposito, il tuo lato sacro e quello profano?

Se penso a Klimt che muore con un sacco di figli sparsi in giro, non credo che vorrei ripercorrerne le orme, anche se così facendo rispecchierei lo stereotipo dell’artista dannato! Un personaggio che invece emulerei volentieri, ma solo in teoria perché nella pratica per me sarebbe un po’ come diventare vegano, è Nikola Tesla. Fu così distaccato dalla realtà da non lasciarsi coinvolgere in nessun rapporto interpersonale. Secondo lui, se non sprecassimo le energie ad amare un’altra persona, ma le conservassimo e utilizzassimo solo per noi stessi ci colmeremmo da soli riuscendo a realizzare un maggior numero di idee e progetti personali. Forse questo è quello che mi verrebbe da fare, anche quando penso a Michelangelo o a Leonardo (nonostante i noti processi per pederastia). Diciamo però che la mia parte profana si riassume con una frase di Bukowski: “Io dico alle donne che la faccia è la mia esperienza e le mani sono la mia anima. Qualunque cosa, pur di tirare giù quelle mutandine”.

I corpi che raffiguri sono spesso femminili. Immagino che alcuni appartengano alla tua vita sacra, del disegnatore nel suo rapporto professionale con una modella, e qualcuno alla tua vita profana, dell’uomo-artista che trova ispirazione in una donna con cui ha invece instaurato una certa intimità, anche solo fugace.

Diciamo che a volte l’incontro di una sera può svilupparsi in un probabile disegno, ma quando ha il sopravvento la fretta del desiderio, allora il tutto si brucia come una bellissima candela. Si consuma prima che vi abbia visto qualcosa di realmente bello. Purtroppo quella bellezza consumata in una notte non mi permette di fermare sul foglio quello che vorrei, quello che mi ero ripromesso da artista puro.

Altre volte mi succede di scegliere una modella che, nel suo distacco fisico, mi consente di idealizzare davvero il suo corpo. Di solito capita che io muova il braccio o la gamba di una modella al momento dello scatto fotografico per cercare la posa migliore, ma con lei non ci riuscivo, la vedevo come un essere puro. Considera che proprio quei disegni che le ho fatto sono stati i primi ad essere stati acquisiti in Brera, e ad avermi aperto le porte del mercato nelle gallerie. A volte ciò che non mi è concesso avere, mi consente di volare coi miei disegni. Si desidera davvero ciò che ci è negato, anche nel disegno.

Dunque nei tuoi disegni cosa c’è di sacro e di profano?

Mi è capitato di disegnare una donna con la passione per le gang bang, ed è arrivata a rimproverarmi di averla ritratta con meno uomini rispetto a quelli con cui aveva posato per gli scatti!

A volte invece mi piace fare come Jan Saudec il quale, non contento dei tanti modelli maschi provati, decise alla fine di raffigurare se stesso in compagnia delle sue modelle. Quindi amo mettermi in gioco e far parte della composizione dei corpi, facendo degli autoscatti, spesso ispirandomi alle pose erotiche dello stesso Saudec.

Un’altra modella l’ho incontrata in un locale noto di Milano. Non conoscendola bene, non sapevo quanto potessi spingermi. Solo in seguito ho scoperto per puro caso, attraverso vari social, che aveva girato dei film molto audaci. Se lo avessi saputo prima avrei scelto per lei pose decisamente più azzardate!

Infine Giovanni parte per la Corea, dove ha luogo una sua importante personale presso la galleria Orange Bridge, sull’isola di Jeju. Ci sentiamo per telefono e gli chiedo cosa ha realizzato per Hestetika.

Come ti avevo detto, mi sarebbe piaciuto realizzare un lavoro dalla Corea per la vostra rivista, e così ho fatto. Ho sviluppato un disegno che rappresenta una danza secondo il mio personale modo di intenderla, ovvero attraverso diversi corpi in pose singole che raduno successivamente su carta, disponendoli come se stessi muovendo i fili di una danza. In realtà, però, non so ballare! Eppure, come un artista disegna il mondo che idealizza, io faccio ballare corpi che non si sono realmente incontrati, tra cui proprio il tuo. I coreani mi hanno chiesto perché non abbia rappresentato qualcosa inerente alla loro terra. Ho risposto che per farlo avrei dovuto conoscerla a fondo.

Questa mattina alzandomi ho incontrato un cervo, e ora so che lui sarà il soggetto del prossimo disegno. Il cervo è l’animale simbolo di quest’isola, ma finché non ho incrociato il suo sguardo per me questa restava solo una bella frase. E noi siamo disegnatori, non scrittori.

 

http://giovannimanzonipiazzalunga.blogspot.com/